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Sei genitore in un Paese, sei genitore in ​ogni Paese

(Ursula von del Leyen – Presidente della Commissione UE)

Parliamo della Legge  19.Febbraio.2004, nr. 40 (in breve, Legge/40) che ha fissato le “norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.  

Il confronto, il dibattito, la polemica, il diritto, l’ideologia, sono tutti gli ingredienti che compongono la miscela esplosiva che sta rendendo questo momento di vita politica nel nostro Paese, sempre più acceso.

Un tema questo molto importante e delicato per l’obiettivo primario prefissato che è quello di affrontare e risolvere (?) il grave problema derivante dalla sterilità (femminile e maschile). L’art. 1 della Legge recita che si vuole assicurare ‘i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito’.  

Tuttavia, affrontando questo tema si è finito di innescarne un altro altrettanto grave in quanto la Legge/ 40pone un espresso perimetro entro il quale si può accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ovvero: “alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi in età potenzialmente fertile, entrambi viventi” .

Quindi, per le coppie dello stesso sesso (omogenitoriali) l’unica soluzione è quella di risolvere il problema all’estero, in quei paesi dove le tecniche sopra citate sono esercitate e tutelate.

Avvenuto ciò, cosa succede nel momento in cui i bambini con genitori dello stesso sesso rientrano in Italia? Va ricordato innanzitutto che la Legge/40 dice che la donna che partorisce un figlio per conto di una coppia gay o eterosessuale commette un reato con tutte le conseguenze previste.

Così come si è difronte ad un reato quando le madri sono due partecipando entrambe alla gravidanza (l’una al concepimento, l’altra alla gravidanza).
Se invece i due ‘momenti creativi’ coincidono nella stessa persona si profila la figura del c.d. genitore intenzionale che, non avendo alcun legame biologico con il figlio (nel senso generale del termine) non è riconosciuto genitore, in Italia.  
Tuttavia, si può ricorrere ad un’adozione speciale (stepchild adoption) che comunque ha un suo percorso lungo e difficile e la cui conclusione, viste le premesse giuridiche, è molto incerta.  

Altri problemi, come l’iscrizione all’anagrafe di un bimbo avente due madri biologiche, stanno turbando la vita politica di queste settimane portando ancora una volta alla conclusione che esiste un vuoto normativo importante che il Governo dovrebbe impegnarsi a colmare.  

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Per chiarezza bisogna riconoscere che regolamentare con ‘equilibrio’ un argomento così delicato è molto difficile perché sulla questione concorrono sia le differenze ideologiche delle parti, che le differenze normative esistenti fra l’Italia e gli altri Paesi, differenze che – al momento almeno - rendono inconciliabili le soluzioni.

Se l’Italia ha fatto la sua scelta normativa, dobbiamo dare voce anche a coloro che invocano l’appartenenza dell’Italia all’Europa  il cui Parlamento aveva approvato nel Settembre 2021 una risoluzione con la quale si invitavano tutti i Paesi membri dell’Unione a riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. 
Conseguente, la genitorialità riconosciuta in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta in ogni altro Stato membro, senza alcuna procedura speciale (stepchild adoption); applicabile quindi a figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, adottati o avuti con la maternità surrogata (se consentita).  Tutto molto interessante, ma quanto esplicitato dall’Unione Europea ha il valore di una semplice indicazione e pertanto non ha valore vincolante.